Fioccano i premi letterari anche dalle nostre parti, cioè in quella Sicilia un po’ barocca, un po’ araba e un po’ farlocca.
La nuova moda è la modalità di svolgimento: vince chi ha fatto vincere. Detto così potrebbe apparire solo un esercizio linguistico, anche di scarso valore. In realtà, si tratta di una pratica ormai ampiamente diffusa: nei premi vincono coloro che hanno premiato e vincono grazie a chi hanno premiato. C’è confusione, in effetti. Prendiamo, per esempio, il concorso “A”. La giuria del concorso “A” premia persone che sono stati giurati del concorso “B” nel quale – ed è qui la scoperta – sono stati premiati i giurati del concorso “A”. In realtà, per non banalizzare, potremmo dire che sono stati ben occupate tutte le lettere dell’alfabeto e gironzolando gironzolando, che si paghi o non si paghi carta premiata, le persone sono sempre le stesse.
Una cricca di amici, ma non in senso dispreggiativo, eh. Perché poi, tra loro, in realtà si vogliono anche bene, pur perculandosi alle spalle, quasi quasi si stimano. Altra cosa è, ovviamente, chiedere “cos’hai letto della persona che hai premiato?”. Se va bene, ti viene risposto laconicamente “niente”; se va male, e spesso va male, ti verrà chiesto: “Ah, dovevo leggere?”.
Sarebbe curioso, e forse anche divertente, chiedere alle librerie di Barcellona Pozzo di Gotto, ed anche a tutte quelle spalmate lungo la nostra tanto bella quanto offesa isola, quanti libri i premiati e i premianti hanno acquistato (che è cosa ben diversa dal leggere, non sia mai!) nella loro vita. Arrancano, tossiscono, balbettano. Infine tacciono.
La domanda arriva in finale: ma se divento vostro amico, premiate pure me? In cambio, lo giuro solennemente, premierò a mia volta anche voi. Premiamoci e glorifichiamoci tutti, amen.